Divisione giudiziale di un immobile in Comproprietà tra Eredi: Aspetti Giuridici

  Premessa Quando un immobile è in comproprietà tra eredi, e uno di essi desidera dividerlo, ma gli altri si oppongono, la legge italiana offre una soluzione legale attraverso la divisione giudiziale. Questa procedura permette di trasformare le quote indivise dei vari coeredi in proprietà esclusive di specifiche porzioni del bene, qualora esso sia divisibile. Consenso per la vendita; c’è un obbligo alla comproprietà? In caso di comunione ereditaria, per vendere l’immobile è necessario il consenso di tutti i comproprietari, poiché ciascuno deve firmare il rogito notarile. Tuttavia, nessuno può essere obbligato a mantenere la comproprietà di un bene se non lo desidera. La legge italiana prevede che ogni comproprietario possa vendere la propria quota indivisa rispettando il diritto di prelazione degli altri comproprietari. Divisione Giudiziale Se non è possibile raggiungere un accordo per la vendita o la divisione consensuale dell’immobile, qualsiasi comproprietario può chiedere la divisione giudiziale. Questo diritto è imprescrittibile e può essere esercitato in qualsiasi momento. La divisione giudiziale si articola in due fasi: Procedura di divisione Il comproprietario che intende chiedere la divisione giudiziale deve predisporre un atto di citazione, assistito da un avvocato, da presentare al Tribunale del luogo dove si trova l’immobile comune. Se l’immobile è parte di un’eredità, è competente il Tribunale del luogo di apertura della successione. L’atto di citazione deve essere notificato a tutti i comproprietari. Esito della divisione Una volta accertata l’assenza di un accordo e l’indivisibilità dell’immobile in natura, il giudice verifica se uno dei coeredi desidera acquistare le quote degli altri. Se ci sono più offerenti, il giudice preferisce chi già vive nell’abitazione o, in mancanza, colui che possiede la quota maggiore. Se questi criteri non risolvono il contrasto, si procede con l’estrazione a sorte. Qualora nessuno sia interessato a mantenere la proprietà, si procede con la vendita all’asta, seguendo le regole delle aste giudiziarie dei beni pignorati. Applicabilità della divisione giudiziale alle comunioni legali tra coniugi La divisione giudiziale non riguarda solo le comunioni ereditarie, ma può essere applicata anche alle comunioni legali tra coniugi, che si sciolgono principalmente per separazione personale o divorzio. Tuttavia, la domanda di scioglimento della comunione non può essere presentata prima che la sentenza di separazione sia divenuta definitiva (Cass. 23 giugno 1998 n. 6234). Conclusione In sintesi, la divisione giudiziale di un immobile in comproprietà tra eredi è una procedura legale che consente di trasformare le quote indivise in proprietà esclusive su porzione dell’immobile, o di vendere l’immobile all’asta, qualora non sia divisibile in natura. Ogni comproprietario ha il diritto imprescrittibile di chiedere la divisione in qualsiasi momento, garantendo così una soluzione legale in caso di disaccordo tra gli eredi.

COME TRASFERIRE GRATIS LA CASA CONIUGALE AL CONIUGE.

È possibile intestare la casa all’altro coniuge senza pagare tasse in sede di separazione consensuale o giudiziale, o di divorzio, come parte degli accordi di divisione dei beni. Trasferimento esentasse. L’intestazione della casa può essere utilizzata come strumento per ridurre o eliminare l’obbligo di versare l’assegno di mantenimento all’ex coniuge. Il trasferimento della proprietà dell’immobile può beneficiare di esenzioni o riduzioni dell’imposta di registro, imposta di bollo e imposte catastali, a patto che l’accordo sia contenuto nell’atto di separazione omologato dal giudice e sia finalizzato alla risoluzione della crisi coniugale. Attenzione: nel caso di accordo in sede di separazione, l’accordo raggiunto non ha valore vincolante definitivo. In sede di divorzio, la moglie potrebbe tornare a chiedere l’assegno di mantenimento, anche se ha rinunciato in precedenza in cambio dell’intestazione della casa. Trasferimento consigliato solo con il divorzio, dunque. Per tutelarsi da eventuali ripensamenti, è infatti consigliabile posticipare l’intestazione della casa alla moglie al momento del divorzio definitivo. Condizione per l’esenzione fiscale è che l’accordo deve essere contenuto nell’atto di separazione o divorzio omologato dal giudice. L’accordo deve inoltre essere finalizzato alla risoluzione della crisi coniugale.

ASSEGNAZIONE CASA CONIUGALE AL MARITO GRAVEMANTE AMMALATO

di   Nicola Frivoli – Avvocato. Vanno contemperati gli interessi dei coniugi e dei minori senza arrecare pregiudizio ad alcuno; in tal senso può essere assegnata la casa coniugale al marito qualora le condizioni di salute dello stesso impediscano un collocamento differente che vada ad alterare l’equilibrio psico-fisico del soggetto affetto da una grave patologia. di   Nicola Frivoli – Avvocato. Commento a: Trib. Perugia, sez. I – civ., ord., 22 marzo 2024 La ricorrente depositava presso il Tribunale competente ricorso per separazione giudiziale dal marito esponendo che dall’unione erano nati due figli, attualmente minori, e che la famiglia aveva vissuto nella casa di proprietà del suocero concessa in comodato d’uso alla coppia prima del matrimonio. La moglie riferiva di svolgere attività lavorativa con contratto a chiamata, mentre il marito era socio di una società. Riferiva, altresì, che il resistente aveva intrattenuto una relazione extraconiugale ma che aveva preferito indugiare nella richiesta di separazione atteso che il coniuge nel frattempo si era ammalato gravemente. Concludeva chiedendo pronunciarsi la separazione con addebito al marito, disponendo l’affido condiviso dei figli minori e l’assegnazione a sé della casa coniugale, oltre un mantenimento per se stessa e per i figli.  Si costituiva il marito deducendo di versare in condizioni di salute gravi, negava la relazione extraconiugale, riferendo che, invece, era la moglie che aveva intrattenuto relazioni stabili. Concludeva chiedendo l‘addebito della separazione alla moglie, l’assegnazione della casa coniugale in considerazione delle proprie condizioni di salute, il collocamento paritario dei bambini e negando un mantenimento in favore della moglie, atteso che la stessa aveva sempre lavorato a tempo pieno. All’udienza fissata per comparizione delle parti il giudice verificata l’impossibilità della conciliazione, disponeva emettendo i provvedimenti temporanei ed urgenti, affidando, in maniera condivisa i figli minori, poneva a carico del marito l’obbligo di versare un assegno di mantenimento in favore dei figli, oltre al 50% delle spese straordinarie, nulla per la moglie, e assegnava la casa coniugale al marito in considerazione della gravità della patologia di cui era affetto. Il giudice adito, nel decidere in via provvisoria in merito all’assegnazione della casa coniugale, aveva valutato che la moglie, unitamente ai figli minori, si era trasferita da qualche mese dai genitori, mentre il marito era rimasto in casa e, a causa della gravissima malattia, si sottoponeva a cicli di terapie. Posto ciò, deriverebbe un notevole pregiudizio il trasferimento in un’altra abitazione del marito, considerando, altresì, che lo stesso dovrebbe reperire un’abitazione adatta alle sue necessità e alle sue gravi condizioni di salute. Precisava, inoltre, il giudicante che l’assegnazione della casa coniugale al marito non contrastava con l’interesse dei figli minori, bensì si affiancava nella misura in cui si deve considerare la necessità di assicurare condizioni di vita quanto più possibile serena e stabili per il padre, unitamente ai momenti di condivisione di vita con i bambini. Non va sottaciuto che il padre si sottoponeva periodicamente ai cicli di terapie, pertanto andava mantenuto il collocamento prevalente presso la madre, ma, in ogni caso, andavano assicurati gli incontri periodici con il padre il quale, pur in considerazione delle sue precarie condizioni di salute, non può veder esautorato del suo ruolo con i figli. In conclusione, il giudice invitava le parti a trovare un accordo conciliativo, in mancanza, rigettava le richieste istruttorie di ammissione di prova orale nonché di CTU e il giudizio sarebbe proseguito nelle forme previste dal codice di rito con rinvio della causa per la precisazione delle conclusioni.

Ferimento o morte di un animale d’affezione: danno morale si o no?

Il legame affettivo tra uomo e animali d’affezione o di compagnia è sempre più riconosciuto e condiviso nella società. Ma cosa succede quando questo legame viene bruscamente interrotto a causa di un incidente o di un altro fatto illecito? È possibile ottenere un risarcimento per il danno non patrimoniale subìto a seguito del ferimento o della perdita del proprio animale? Innegabile che l’ordinamento italiano non riconosce all’animale, sia questo animale da compagnia o animale tenuto a scopo essenzialmente di lucro, la natura di soggetto di diritto. Tanto è vero che, per esempio, può essere oggetto di compravendita. Un’impostazione non più al passo con i tempi e con l’evoluzione del sentire comune ed anche della legislazione internazionale. La “Dichiarazione universale dei diritti dell’animale”, firmata a Parigi nel 1987 presso l’Unesco, stabilisce all’art. 1 che “Tutti gli animali nascono uguali davanti alla vita e hanno gli stessi diritti all’esistenza” riconoscendo a questi, seppur implicitamente, uno statuto che necessariamente si differenzia da quello che li considera una “cosa” ,e all’art 6 che « ogni animale che l’uomo ha scelto per compagno ha diritto ad una durata della vita conforme alla sua naturale longevità.» Ancora, nella Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia conclusa a Strasburgo nel 1987 e ratificata dal parlamento italiano con legge 4 Novembre 2010 n. 210, si legge al primo comma dell’art 3 che « Nessuno causerà inutilmente dolori, sofferenze o angosce ad un animale da compagnia.» Ed ancora, il Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea all’art 13 riconosce esplicitamente all’animale la qualifica di “essere senziente” delle cui esigenze l’Unione e gli Stati membri devono necessariamente tener conto. Tizio, il cui cane fu coinvolto in un incidente stradale, ha richiesto il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti. Il Tribunale di Lucca, in appello, ha negato il risarcimento dei danni morali per mancanza di prova, riconoscendo solo il rimborso delle spese veterinarie per il cane, escludendo i danni non patrimoniali per il ferimento dell’animale. La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il motivo di impugnazione riguardante il risarcimento del danno non patrimoniale da ferimento dell’animale d’affezione. La decisione è basata su una precedente pronuncia del 2007, che negava il risarcimento sostenendo che la perdita di un animale d’affezione non rientra tra i danni esistenziali risarcibili per la persona umana. (CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE -Sez. Sesta civile (Ordinanza 13 settembre – 23 ottobre 2018, n. 26770) Leggi l’Ordinanza della Cassazione La Corte di Cassazione, con sentenza  del 27 Giugno 2007, n. 14846, in Nuova giur. civ. comm.,2008, I, p. 789 ha respinto la richiesta di risarcimento principalmente perché era basata su un danno presunto e presumibile in re ipsa, non dimostrato specificamente. Dunque non ha negato per principio il diritto al risarcimento del danno morale, ma si è soffermata sulla prova del danno, il cui onere incombe su chi agisce in giudizio. Per esempio chi agisce dovrebbe provare che il proprio figlio a causa del trauma subito per la perdita dell’animale ha docuto far ricorso all’aiuto di uno psicologo. La Corte di Cassazione nel 2009  (Cass., Sez. un., 11 novembre 2008, nn. 26972, 26973, 26974, 26975; Cass. 25 Febbraio 2009, sentenza n. 4493) aveva riconosciuto la risarcibilità del danno non patrimoniale in casi simili, evidenziando che il giudice di pace può disporre risarcimenti anche fuori dai limiti dell’art. 2059 c.c. L’articolo stabilisce  che “Il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge”. Occorre soltanto, secondo la Cassazione, che il danno sia dimostrato. Molti tribunali hanno riconosciuto la risarcibilità del danno non patrimoniale per la perdita o ferimento di animali d’affezione, richiamandosi a principi costituzionali (art. 2, 32, e 42 Cost.) e alla Convenzione Europea per la protezione degli animali da compagnia. Si riporta in calce la sentenza del Tribunale La Spezia, 31/12/2020, n. 660 “Va pertanto ritenuta la responsabilità della struttura convenuta nella determinazione del decesso del cane, atteso che il procedimento corretto avrebbe previsto approfondimenti diagnostici, che avrebbero portato ad una diagnosi di occlusione intestinale e quindi ad un’operazione di rimozione dei corpi estranei che avrebbe evitato l’evento letale, secondo il criterio del “più probabile che non”. Venendo infine all’esame dei danni non patrimoniali allegati dagli attori, lo scrivente giudice condivide l’orientamento giurisprudenziale di merito che sottolinea come il rapporto tra padrone ed animale da affezione debba essere oggi ritenuto espressione di una relazione che costituisce occasione di completamento e sviluppo della personalità individuale e, quindi, come vero e proprio bene della persona, tutelato dall’art. 2 della Costituzione. Con la conseguenza che, laddove allegato, provato e dotato dei necessari requisiti di gravità, il danno non patrimoniale da perdita o lesione dell’animale d’affezione può e deve essere risarcito (Trib. Torino, 29 ottobre 2012, n. 6296). Sulla scorta degli elementi suindicati, appare equo liquidare il danno non patrimoniale sofferto dalla minore Na. in conseguenza del decesso del cane Os. nell’importo complessivo di Euro 1.000,00, attualizzato alla data odierna.“ La Corte di Cassazione ha confermato un orientamento restrittivo, basato su una visione non aggiornata della normativa e della sensibilità sociale verso gli animali d’affezione. Tuttavia, una parte significativa della giurisprudenza di merito e dottrina sostiene la risarcibilità del danno non patrimoniale (morale), valorizzando il rapporto tra uomo e animale come parte integrante della sfera affettiva e personale, conferendo lo status di diritto meritevole di tutela costituzionale. Pagina Facebook dell’Ente Protezione animali: https://www.facebook.com/p/ENPA-Odv-sezione-di-Ragusa-100066518676637/ profilo

AMMINISTRATORE DI SOSTEGNO: SE I FIGLI LITIGANO É MEGLIO UN ESTRANEO

Se c’è forte conflittualità tra i figli, al genitore va nominato come amministratore di sostegno un estraneo. La Cassazione sulla nomina dell’amministratore di sostegno In tema di nomina dell’amministratore di sostegno, qualora sia accertato che sussista un conflitto endo-familiare che, in quanto fonte di stress e di disagi, non garantisca un’adeguata rete protettiva per il beneficiario, diretta a preservarne gli interessi personali e patrimoniali, trova fondamento la nomina, quale amministratore, di un estraneo al nucleo familiare il cui compito primario consisterà nella ricostituzione della necessaria rete protettiva, in funzione della migliore cura degli interessi del beneficiario. L’Ordinanza della Suprema Corte Cassazione civile sez. I, 16/05/2024, n.13612

FORNITURA DI ENERGIA ELETTRICA AI COMUNI: CONTRATTO NULLO SENZA LA FORMA SCRITTA

Il contratto di fornitura di energia elettrica ai comuni non può essere stipulato mediante comportamenti concludenti: il contratto di fornitura è nullo senza la forma scritta. Lo ha stabilito la Corte d’Appello di Catania nella sentenza N. 1541/2023 nel procedimento nel quale abbiamo patrocinato il Comune di Pozzallo. La Corte d’Appello di Catania (Presidente estensore il Dott. Roberto Centaro) ha stabilito che i contratti stipulati dallo Stato devono rivestire la forma scritta “ad substantiam”. Con sentenza n.599/2021 emessa il 14-5-2021 dal Giudice Unico della Sezione Civile del Tribunale di Ragusa , veniva rigettata l’opposizione al decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Ragusa contro il Comune , condannato al pagamento delle spese processuali in favore di parte opposta.Il Comune di Pozzallo proponeva appello avverso la suddetta decisione, chiedendo la revoca del provvedimentomonitorio; in subordine, la declaratoria della sussistenza del credito solo per gli interessi legali e non per quelli moratori, decorrenti comunque dalla domanda; oltre alle spese processuali di entrambi i gradi del giudizio. “Il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità – afferma la Corte- ha attribuito al termine “Stato” l’accezione più ampia, ricomprendendo non solo le sue varie articolazioni centrali e periferiche, ma anche gli enti pubblici territoriali, elencati nella Costituzione, cui nel corso del tempo sono stati attribuiti poteri nell’ambito del decentramento delie funzioni, sia in termini esclusivi che ripartiti; anche quando la pubblica amministrazione agisca “iure privatorum”, pur nell’esercizio di compiti istituzionali. In relazione alle richieste di attivazione prodotte dalla creditrice, la Corte ha rilevato che: La documentazione prodotta si sostanzia in mere richieste di attivazione della fornitura, sottoscritte da un dipendente del Comune e non dal legale rappresentante “pro tempore” o da altro soggetto pubblico delegato a cioè investito dei necessari poteri di rappresentanza esterna. Non si è, quindi, di fronte ad una espressione di volontà dell’ente pubblico legittimamente emessa, cui poter ascrivere gli obblighi negoziali sanciti. La richiesta di attivazione della fornitura è un’istanza attuativa di un negozio già validamente stipulato.Non può assurgere ad esplicitazione della volontà di intrattenere il rapporto e di stipulare il relativo contratto, perchè, a tutta evidenza, ha tutt’altro scopo e non può valere come adesione implicita alle previsioni contrattuali; ancor più per un ente pubblico, vincolato da un regime formale nella manifestazione della volontà. Qui la sentenza

VALORE LEGALE DELLA PEC: NON COMPRENDE GLI ALLEGATI

La Cassazione ribadisce che la posta elettronica certificata dimostra l’invio e la ricezione del messaggio ma non può garantire il contenuto del documento allegato “La posta elettronica certificata dimostra l’invio e la ricezione del messaggio, ma non garantisce il contenuto del documento allegato”. E’ il principio ribadito dalla prima sezione civile della Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 10091/2024 (sotto allegata). Non si può, in altri termini, dalla circostanza che la posta elettronica è certificata, dedurre che anche il documento allegato lo è, o meglio, che quel documento è riferibile al suo autore, e che ha effettivamente quel contenuto. La Pec, in sostanza, confermano dal Palazzaccio, “è in grado di attestare in maniera certa l’avvenuta trasmissione e ricezione del messaggio, le modalità di spedizione (data, ora e formato) ed anche il suo contenuto, ma limitatamente alla Pec stessa, non al file allegato ad essa”. Pertanto, se alla stessa è stato allegato un file con un determinato nome, estensione, formato e dimensioni la ricevuta lo attesterà, ma non farà prova del contenuto di quel file, “occorrendo, a tal fine, che sul file allegato sia apposta la firma digitale, che certificherà la provenienza del documento e la sua integrità”.(Articolo tratto dal sito: studiocataldi.it)

Interesse ad agire: il CGA accoglie la nostra tesi.

I Il Consiglio di Giustizia Amministrativa puntualizza la necessità dell’interesse ad agire per poter proporre un ricorso amministrativo. Lo esclude quando non sussista il requisito della “vicinitas” e non sia dimostrato il danno che si riceverebbe dall’applicazione del provvedimento amministrativo. All’attenzione della massima autorità giurisdizionale amministrativa la questione dell’interesse ad agire: accolta la nostra tesi. Qui la sentenza pubblicata sul sito di Giustizia amministrativa

Studio Legale Rizza Moodica
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Giuseppe AssenzaGiuseppe Assenza
20:11 06 May 24
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antonino benedettoantonino benedetto
12:14 05 Jan 24
nella mia vita lavorativa e non, sono stato spesso per ovvi motivi a contatto con studi legali...avvocati etc....con certezza di causa affermo l'assoluta, competenza, pragmaticita' della famiglia Rizza, notissimo studio legale in Modica....mi sono affidato a loro, per una delicata, e quantomeno spinosa querelle, su una compravendita, immobiliare, brillantemente e sagacemente, risolta, con grande merito dalla Studio. A detto titolo, mi e' doveroso, lasciare questa semplice , recenzione, per l'immensa gratidutine e riconoscenza, verso gli Avvocati Rizza dell'omonimo studio...
AuroraAurora
13:07 25 Jul 21
Serietà, competenza, professionalità, disponibilità sono i valori che ho trovato presso lo studio legale Rizza, grazie ancora per il supporto ricevuto
Piero BasilePiero Basile
10:38 20 Jul 21
"Mi sono rivolto all' avv. Enzo Rizza per una questione molto complicata che durava da tempo. Ero stato truffato. L' avvocato ha trattato molto bene il contenzioso e ha risolto la questione che meglio non si poteva. Non mi è parso vero. L' avvocato si è contraddistinto per accoglienza, capacità, impegno, serietà e onestà. Bravo. Grazie avvocato, le sono grato."
Salvatore ZaccoSalvatore Zacco
10:15 20 Jul 21
GIUSY NICOLOSIGIUSY NICOLOSI
14:21 16 Apr 16
Ho incontrato l' avvocato Rizza in una delicata fase della mia vita lavorativa. La sua serietà, competenza e umanità mi hanno molto colpita. Consiglio vivamente di avvalersi delle sue prestazioni professionali, a quanti abbiano bisogno di un' adeguata assistenza legale.
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